Sforzi dannosi?

Trail, corse a tappe, Ironman, 100 km, Ultra maratone, gare estreme, deserti, altitudine…

C’è una “corsa” e una “rincorsa” dietro a queste attività, che spesso seguono delle “mode” e/o diventano modi per apparire, che a sua volta sembra poi essere il must del secolo: essere social, avere più like, selfie a tutti i costi, fare notizia, andare oltre i limiti, ricerca della fatica estrema, delle distanze proibitive…
Ma, lasciando stare il problema motivazionale, che meriterebbe svariati articoli a parte, anche per chi sceglie questi sforzi in modo più riservato, intimo, ragionato e consapevole, e quindi con preparazione specifica, si nascondono molti risvolti “biologici”, alcuni potenzialmente pericolosi e degni di attenzione.

Se ne parla periodicamente su riviste o siti specializzati (l’ultimo che mi è capitato di leggere su trailrunning a cura del Dott. francesco Balducci).

Pur invitando a leggere almeno l’articolo citato sopra, riassumo grossolanamente i punti in esso evidenziati:

  1. stress ossidativo a livello cellulare
  2. stress psico-fisico
  3. infiammazione silente
  4. problemi cartilaginei/articolari/muscolari
  5. alterazioni ritmo veglia-sonno

Personalmente ne discutevo anche con amici medici, cardiochirurghi, e ai punti citati sopra aggiungerei, appunto, i cambiamenti cardiovascolari strutturali, più o meno transitori e l’innalzamento di alcuni biomarker cardiaci che in genere rientrano a valori normali nel giro di una settimana. In alcuni casi (e un 12% non lo ritengo poco rilevante), mesi e mesi di lesioni ripetute evolvono in fibrosi miocardiche con aumentati episodi di aritmie, riscontrando in atleti, apparentemente sani, lesioni miocardiche e aritmie più frequenti, anche nei successivi 2 anni.

Un amico, però, mi chiede: è chi non è un atleta?

I rischi nei punti dall’1 al 4 (il 5 riguarda la privazione del sonno) valgono anche per chi affronta un percorso non estremo, non competitivo, ma intenso, senza adeguato allenamento?

Intanto posso dire che la risposta è difficile perché non ci sono studi specifici approfonditi sulle “improvvisazioni” nel tempo libero delle persone, mentre su gruppi di atleti è facile individuare un target e farne statistiche.

Suppongo infatti che la domanda sottintenda come esempio una persona che fa lavoro sedentario e d’estate improvvisa una traversata di 6-8 ore sulle dolomiti oppure 3 giorni in bici attraversando la Scozia.

Tolto subito il punto 5, che perde di significato non essendovi in questo caso attività continuativa giorno&notte, mi vien da dire che gli effetti del punto 1 e soprattutto del punto 2 saranno ridotti proprio per la diversa tipologia di sforzo (prolungato, ma non “a ritmi gara”) e di approccio ad esso: in una competizione gli stress, ossidativo (1) e, più in generale, corporeo (2) iniziano già nei giorni precedenti e insorgono anche nel lungo periodo di preparazione/allenamento. Nell’esempio citato, parte dello stress viene, invece, a mancare o, anzi, ad essere controbilanciato dal piacere dello stare in vacanza e di fare una cosa bella. Questo stato di ben-essere mette in gioco, infatti, endorfine e ormoni del piacere sostanzialmente benefici.

I punti 3 e 4, però, non avendo la componente sportiva (allenamento, preparazione, integrazione alimentare, cura di alcuni aspetti tecnici e motori), rimangono in balia della soggettività. Dipenderanno, cioè, in percentuale maggiore dalle caratteristiche fisiologiche e genetiche della singola persona, dal suo stato di salute, dal suo storico.

Uno sforzo eccessivo e/o prolungato comporta certamente stato infiammatorio silente, incremento di endotossine, indebolimento del sistema immunitario. Nell’atleta preparato il corpo è quasi sempre in grado di reagire sviluppando risposte adeguate e annullando il rischio tossicità. Nel caso invece di un individuo impreparato ad uno sforzo imprevisto (per l’organismo) e inusuale risulta elevato il rischio che l’infiammazione silente evolva finanche a vere e proprie setticemie.

k-tape

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I rischi del punto 4, allo stesso modo, sono legati a molti fattori individuali, al peso della persona, allo stato delle sue ossa, articolazioni, muscoli e ad uno storico più o meno recente di preparazione muscolare-articolare. Ci sono i fortunati che non hanno mai fatto alcuna attività e che non subiscono traumi né logorii e c’è chi è strutturalmente fragile e si fa male anche solo progettando la vacanza…

🙂

Riferimenti:
James O'Keefe, Saint Luke's Hospital di Kansas City
European Heart Journal
Mayo Clinic Proceedings
Monash University di Melbourne su International Journal of Sports Medicine

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