Sono istruttore di sci: insegno a cadere e rialzarsi, così s’impara a sciare.
Sono allenatore titolato e qualificato: insegno a perdere e ad essere onesti, così s’impara a vincere.
Non solo questo ovviamente: c’è anche spazio per la tecnica, la tattica, la preparazione fisica, muscolare e articolare, e quella mentale…
Però, molti possono testimoniare che sulla neve chiedo subito di lasciarsi cadere nel manto soffice, una volta, due… e ancora di nuovo, incastrandosi nel modo più fantasioso. Con mio padre ho insegnato a sciare a gruppi di ciechi e poi alcuni sono diventati campioni sportivi (nella vita lo erano già).
E per insegnare ai ciechi non si può dire “guardate me … fate così” !!!
Nell’atletica abbiamo seguito molti ragazzi che poi, come dei figli “sono usciti di casa”, arrivando alla maglia azzurra e/o ad alti livelli in altri sport. Ma son cresciuti con certi valori che credo conservino associandoli anche a noi.
Molti amici come Enrico Vivian o i suoi fratelli ricorderanno certamente alcuni allenatori, anche uno di Schio ad esempio, che urlavano veementemente e con molta cattiveria da una parte all’altra della pista d’atletica se i propri atleti non facevano bene. Noi preferiamo, se necessario, corrucciarci se i nostri non accettano gli insuccessi.
Ora, da veterano dello sport, pur senza giudicare i singoli individui, mi spiace e mi fa pena notare come sta prendendo piede una bruttissima abitudine tra molti “neofiti” (ché molti tali restano anche se fanno 100 maratone in un anno): quella di portare con sé, oltre al proprio chip anche quello di altri amici più lenti o assenti. Imbrogli più o meno “benevoli” ci son sempre stati, ma un tempo, almeno, sostituire qualcuno comportava come minimo il sacrificio di non poter correre per sé ma solo per l’amico. Ora, invece, la tecnologia permette di salvare caproni e cavoloni… e via tutti con lo stesso bel crono e pacco gara aggiudicato! Come si cade in basso! Basta saper leggere le classifiche e confrontarle con le foto d’arrivo per scoprire le verità nascoste.
Se ad una gara non si riuscisse a partecipare, si dovrebbe rinunciare (e saperlo fare è una vera vittoria) e, a volte, si piange dentro e a lungo. Così, invece, a piangere sono orgoglio e coscienze… forse.
Ancor più grave è il fatto che ad operare ripetutamente con leggerezza e disonestà, chiedendo pure pubblicamente ai tesserati silenzio e omertà, sia chi ricopre ruoli dirigenziali e che la società non abbia la forza e il coraggio di affrontare seriamente il problema, ma cerchi solamente di “purgarlo” internamente con semplici ammonizioni che di concreto non lasciano segni, solo per preservare onore e facciata societaria. E, con quest’ultimo scopo, vietare pure di dire pubblicamente e genericamente “abbasso i disonesti” o “abbasso il doping”.
Proprio ieri alle olimpiadi 8 atlete di badminton sono state espulse per gioco antisportivo, mentre qui da noi le nostre società sportive si tengono stretti disonesti e imbroglioni. Fantastico.
Grazie per la citazione, immeritata!
L’attuale tecnologia rende meno praticabili certe goliardate, almeno nelle intenzioni degli attori, poi amplificabili attraverso i social network. L’importante è decidere se la performance è agonistica o teatrale, tanto per rimanere in tema col titolo: il risultato e la valutazione cambiano.
La tua storia personale è perfettamente congruente con i tuoi valori e le tue decisioni.
Con stima e rispetto, Enrico