Il “nuovo” nell’antico Orto Botanico di Padova

E’ il più antico orto botanico universitario ancora situato nella sua collocazione originaria.

Dopo una presentazione del nuovo progetto nel 2013 e un primo sopralluogo riservato agli addetti del settore il 28 maggio 2014, l’Orto Botanico di Padova ha vissuto il 15 settembre 2014 un giorno storico di festa per l’inaugurazione ufficiale di una nuova area che va ad affiancare quella storica monumentale.

Qui a Padova ho studiato e trascorso numerosi anni della mia vita come studente e, ancora adesso, sono sempre presente, per lavoro, in questa città. L’Orto Botanico rappresenta per gli studenti (almeno per quelli dell’area scientifico-naturalistica) qualcosa di più rispetto a quel che di fatto è (luogo storico, scientifico e architettonico di interesse internazionale, patrimonio dell’Unesco, etc…). Per noi, infatti, è casa, luogo familiare, gioiello di famiglia conservato in un cofanetto in cui ogni tanto ci infiliamo. Un luogo dove, ogni volta, varcando quegli antichi cancelli, si conciliano interesse, rinnovato stupore, pace e serenità, ricordi di studi giovanili, momenti di spensieratezza, residua curiosità scientifica, silenziosi profumi e melodiosi colori…

Il commento motivante del Comitato del Patrimonio dell’Umanità sull’Orto Botanico di Padova, per il suo inserimento tra i siti dell’UNESCO, recita:

“L’Orto Botanico di Padova è all’origine di tutti gli orti botanici del mondo e rappresenta la culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra la natura e la cultura. Ha largamente contribuito al progresso di numerose discipline scientifiche moderne, in particolare la botanica, la medicina, la chimica, l’ecologia e la farmacia”.

La nuova area dell’Orto, scontatamente moderna, sorprende molto: è innovativa ma rispettosa, aggiunge senza togliere, è separata ma unisce.

La si raggiunge dall’antico “giardino dei semplici” (come veniva detto inizialmente, allo stesso modo di tutti gli orti botanici del ‘500), uscendo dalla porta sud e lasciando la statua di Teofrasto e l’imponente Pinus nigra per attraversare un piccolo ponticello e sbucare oltre la vegetazione: qui si apre allo sguardo un largo prato sul cui fianco sorge la nuova struttura. Sullo sfondo la basilica di Santa Giustina.

Una lama d’acqua, già soprannominata “canale Unesco”, ossigena, per poi riciclarla, l’acqua, proveniente dal giardino pensile, dalle serre e da un pozzo artesiano che pesca a 284 metri di profondità, dalla stessa falda del comprensorio e da cui viene pescata anche l’acqua utilizzata per l’orto antico. Dall’enorme serra tre cascate scendono in una vasca da 450.000 litri, nella quale è appunto recuperata e convogliata anche l’acqua meteorica.

La struttura (lunga 110 metri) ha un occhio di riguardo per l’ambiente, appunto con questo metodo di (ri)utilizzo dell’acqua, poi con pannelli fotovoltaici e con un tetto speciale fatto, non di vetro, ma di una sorta di cuscini trasparenti pieni d’aria. Cuscini di materiale altamente tecnologico che isola, lascia passare la luce e allo stesso tempo filtra parte dei raggi UV (che dal vetro verrebbero invece concentrati).
La struttura è provvista anche di tende laterali e a soffitto, che, in modo del tutto automatizzato, si aprono e si chiudono a seconda dell’intensità luminosa. Di notte poi vengono chiuse per restituire il calore accumulato (per lo stesso motivo tutto è di colore bianco, e il tipo di tinta, peraltro, è anch’essa altamente tecnologica contenendo sostanze utili all’abbattimento delle CO2).

Il progetto della VS-Associati dell’arch. Strapazzon, progetto italiano che ha vinto la selezione della gara europea tra una ventina di progetti nel 2004-2005, si è imposto per la sua linearità e semplicità e perché ha mantenuto quell’idea iniziale, presente anche nell’Orto antico, di collegamento tra le due basiliche: quella del Santo (Sant’Antonio) e quella di Santa Giustina. Dalla terrazza di questa nuova serra la vista può, infatti, spaziare dall’una all’altra basilica.

Il prato, che affianca la struttura, ospiterà un po’ alla volta alcune collezioni, ordinate secondo la sistematica moderna, basata cioè sull’indagine molecolare del DNA, con una classificazione quindi più certa e precisa. Non saranno alberi ad alto fusto ma più probabilmente piante erbacee o arbustive.

C’è in progetto, da parte del prof. Casadoro, attuale prefetto, di fare un’aiuola con piante pioniere, quelle alla base dell’albero filogenetico.
Uno spazio è riservato alla caffetteria e ad una zona relax.
La parte terminale della struttura, che si dirama ad “elle”, riserva spazi anche ad una sala conferenze e ai due laboratori: quello di biologia molecolare per il DNA bar coding e quello del germoplasma per conservare semi, polline, colture in vitro, anche per le specie più “recalcitranti” alla conservazione. Questo consentirà di mantenere gli scambi con altri orti botanici.

Questi gli aspetti generali… ma, entrando nelle serre, balza all’occhio subito la differenza di collocazione rispetto all’orto antico, dove le piante erano (e rimangono) disposte per collezione (piante acquatiche, piante medicinali, arboretum…).
Qui la disposizione è per biomi, come se il visitatore facesse un viaggio dall’equatore ai poli. E la disposizione è proprio come su una grande mappa geografica: a sinistra troviamo il continente delle Americhe, al centro Europa ed africa, a destra il continente asiatico e l’Oceania. Ci si può camminare dentro e si può anche “sorvolare” tutto salendo al piano superiore (a 5 metri di altezza) per apprezzare le piante di maggiori dimensioni e avere il colpo d’occhio del resto.
Suddivisione quindi per bioma, clima e localizzazione fitogeografica.

A grandi linee si progetta di avere circa 1300 specie diverse e, in particolare per quanto riguarda quelle dell’area temperata, differenti da quelle già presenti nell’Orto antico. La loro provenienza è da scambi tra orti botanici e/o università e vivai, in particolare dell’Olanda e degli USA.

Ci si inoltra dunque in un percorso esplorativo sulle piante e l’ambiente, ma al suo fianco si sviluppa un progetto espositivo permanente dedicato alla coevoluzione tra i vegetali e la specie umana, in un intreccio di botanica e antropologia. Il percorso tra gli esemplari prevede 4 sezioni:

  • zona equatoriale/tropicale
  • zona subtropicale
  • bioma temperato e clima mediterraneo
  • zone desertiche

Di particolare nella prima zona troviamo collezioni di felci, l’albero del cacao, piante che hanno fatto un lunghissimo viaggio dal Sud America, il banano di origine africana, il mango provienente dall’Asia, il pepe, la cosiddetta palma da cera, varie orchidee (alcune cresciute sui tronchi degli alberi) e la vaniglia, un cavallo di battaglia dell’orto botanico di Padova, per la quale non vive qui da noi l’insetto impollinatore e per cui si provvede quindi all’impollinazione artificiale.

Nella zona subtropicale troviamo molte piante acquatiche tropicali e tra le altre il Baobab e una pianta importante, quella del caffè, descritto per la prima volta come pianta, frutto e utilizzo, da Prospero Alpini, uno dei prefetti dell’orto botanico, dal 1603 al 1616, che lo portò con sé dall’Egitto. Non ha quindi origini brasiliane: in sudamerica si dice che è “acclimatato”, ma la sua origine è l’alta Etiopia e l’Egitto.

Nelle zone temperate, caratteristiche nostre ma anche in Australia o in Sudafrica, si è scelto di inserire piante di specie diverse da quelle già presenti nell’orto antico, magari stesso genere ma specie diversa.

Nella zona arida, infine, le due serre sono state pensate dividendo le piante succulente della zona americana (principalmente centro America e Messico) da quelle dell’Africa, evidenziando quindi che organismi di continenti diversi, messi nelle stesse condizioni, convergono, sviluppando cioè un’evoluzione convergente, con le stesse strategie. Molte di queste piante sono quelle che, prima, già presenti nell’orto antico, venivano spostate continuamente dentro e fuori.

Dal punto di vista scientifico/didattico, nelle varie zone ci sono mezzi interattivi, tra i più avanzati a livello internazionale, in un mix di animazioni, video, proiezioni spettacolari, testi interattivi, reperti.
E, intanto, lungo i corridoi in particolare, scorre la storia del rapporto tra le piante e la specie umana.

Nel Giardino della biodiversità, inoltre, grazie a una app, gli smartphone diventano per i visitatori strumenti per relazionarsi con gli ambienti e le piante. La visita può dunque iniziare prima dell’arrivo nell’Orto e continuare anche una volta usciti dai suoi cancelli.

Quel che resta alla fine è un senso di bellezza, appagamento scientifico e, allo stesso tempo, voglia di ulteriore conoscenza.

Io, però, ripenso subito anche all’antico Orto, attraverso il quale furono introdotte per la prima volta in Italia (in alcuni casi in Europa) numerose piante oggi comuni: fra queste il Ginkgo biloba, la magnolia, la patata, il gelsomino, l’acacia e il girasole

La mia speranza è infatti che il nuovo dia respiro all’antico, ultimamente anche sacrificato fisicamente per l’esuberanza di molte piante, e che quest’ultimo venga riscoperto e rivalutato all’interno di un percorso sempre più completo, facendo cogliere al visitatore anche l’importanza storica e la percezione di esser parte del “giardino”.

Se infatti nel nuovo percorriamo una fantastica mostra per osservare teche, pannelli, serre, sezioni … nell’antico Orto ci troviamo dentro e ne facciamo quasi parte!

Per visite guidate con Siro Pillan
scrivere a guidanatura@millegru.it o chiamare al 328.9380891
 
 
 
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