Amici a New York

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Amici: due a correre, uno ad accompagnare

Raccolgo qui pensieri e scritti pre/post maratona. Oltre a quelli miei, aggiungo il racconto dell’amico Roda. Perché è un amico molto prima di essere un mio atleta (ché come tale, dovrei a volte lodarlo e a volte frustarlo). Perché le emozioni erano comuni. Perché la strada l’abbiamo percorsa assieme. Perché per mesi, anni, abbiamo condiviso dolori, fatiche, dubbi, organizzazione, progetti. Siam partiti da lontano da quell’abbraccio all’arrivo di Venezia, prima esperienza per lui, nuova emozione per me. Solo questi ultimi 42.192 metri a New York li abbiamo percorsi “separati”.

Due visioni personali, in cui ciascuno parla di sé, ma dove si trova anche cronaca comune, in qualche modo obiettiva.

Ritorno a New York per punti

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Messa cattolica a S.Patrick
con benedizione dei maratoneti

– È già la vigilia: emozioni forti alla messa in S.Patrick con benedizione dei maratoneti e il resto della cattedrale ad applaudire
– Non sono pronto come lo scorso anno (gara ahimè cancellata): da un mese e mezzo combatto con una fascite plantare e mancano molti degli ultimi allenamenti.
– Ho i miei ritmi (4’10”-4’20”/km), ma non la distanza.
– Però sono con un gruppo di amici e sono qui… questo conta!

in gara con amici

in gara con amici

2424– Ora albeggia… arrivato in ritardo col ferry boat, trovo la scritta “closed” relativa ai miei wave e corral, precipitandomi, però, vedo l’addetta che tiene ancora aperto il cancello del primo gruppo (il mio)… i soliti privilegiati!
partenza in prima fila dietro alle sub-elite donne, nella corsia a fianco dei top runner uomini
– vento gelido, si corre coperti finché si può, poi a tratti sole e caldo, nuovamente sventolate gelide e nuvoloni, poi ancora sole (scelta adeguata la maglietta a mezze maniche sotto la canotta col nome in bella vista)
– si corre con un fiocchetto azzurro in memoria della tragedia di Boston

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Partenza dal Ponte di Verrazzano

– dal 2° miglio, cioè appena scesi dal fantastico ponte di Verrazzano, si viene letteralmente investiti dal tifo scatenato di una moltitudine immensa, più band ad ogni miglio o anche meno. E fin da subito mi sento chiamare per nome centinaia di volte.
– impossibile rimanere indifferenti e non partecipare all’entusiasmo (specie se l’intento, come per me, è quello di non tirare e quindi correre tranquilli e rilassati godendosi quel che c’è attorno)
– e non rimanere indifferenti può significare due cose: correre, volando a 10 cm da terra, a ritmi più veloci oppure rispondere al tifo, scherzare, battere il cinque… la prima non posso farla… mi dedico alla seconda per molti km.
– in varie occasioni mi viene la pelle d’oca, che avverto particolarmente sulle cosce
– tutto il percorso è impressionante per la festa e l’incitamento, forte, spiritoso e leggero o profondo e serio, scritte, colori, musica e quel continuo chiamarmi per nome… pazzesco!
– in quei pochi tratti in cui non c’è gente l’effetto rimane: il silenzio è assordante, disturbato solo nel Queensborough Bridge dal rimbombo dei nostri passi o dal passaggio di un treno
– lungo la 1st Avenue un punto ristoro rifornisce di gel, per le ultime fatiche: me ne ritrovo in mano uno al cioccolato e uno alla vaniglia: nauseabondi da quanto dolci sono
– nel Bronx una band di percussionisti mi presta i bastoni (non sono bacchette) e suono un tamburo a un ritmo perfetto… un fotografo si avvicina e scatta… chissà se è dell’organizzazione e se vedrò mai queste foto
– il Central Park lo trovo facile tanto è entusiasmante, sebbene abbia saliscendi importanti
– sono fresco, ho tempo e lucidità per pensare: ho fatto quello che dovevo fare… andar piano!
Quindi son contento.
Mi ero prefissato di stare tra i 4’30 e i 5’00/km, ma sono andature lente, (ancora) innaturali per me, per cui nella prima parte son rimasto quasi sempre più vicino al limite più veloce (che comunque era già sufficientemente sotto le mie soglie).
Come prevedibile non è arrivata quindi nessuna crisi, ma il calo c’è stato comunque perché la fascite plantare si faceva sentire e le gambe cercavano di parare il tutto rimettendoci anche la loro integrità. Oltretutto tenere basse velocità non aiuta, perché andando piano, l’appoggio maggiore col terreno comporta alla lunga maggiori disagi. Ma andar più veloce non potevo permettermelo!
– Nei giorni scorsi dicevo che, in queste condizioni, nel migliore dei casi, un bel risultato sarebbe stato anche solo scendere sotto le 3h30/3h40… ma i dolori sono usciti fuori e allora cambio obiettivi: provo a studiare il modo di segnare esattamente un’ora più del personale… dovrò anche sprintare per potermi poi concedere un arrivo in stile “tecnica di marcia”.
– alla fine, quindi, torno a correre anche sotto i 4’00”/km, per chiudere esattamente con un’ora in più del mio personale, fatto nella mia prima maratona, 15 anni fa.

arrivo marciando

arrivo marciando

– il traguardo lo passo marciando come in tutte le mie ultime gare “tranquille”
– detto di questa coincidenza di minuti, con 2h davanti alla mia prima maratona e 3h oggi, sarebbe proprio il degno risultato per la mia ultima maratona, ma non son solito fare proclami definitivi o assoluti. In realtà da tempo pensavo e dicevo che poteva essere l’ultima: son di natura mezzofondista e le maratone le faccio più per divertimento, ma il mio fisico tende a ribellarsi. Però posso dire questo: se mai dovessi tornare a correre una maratona vorrei fosse qua… non ci sono paragoni con altre!
– dopo la gara, nel lungo tragitto per rientrare all’appartamento, in zone ben lontane dal percorso e dall’arrivo, perdo quasi la voce per rispondere a tutti i complimenti di TUTTE le persone che incrocio. Addirittura alcune, che stanno parlando al cellulare, sospendono la telefonata per farmi i complimenti.
– E’ l’unica maratona, credo, in cui dopo due giorni puoi girare tranquillamente con la medaglia al collo (e tantissimi lo fanno) senza che ti prendano per matto o si chiedano cosa sia quella medaglia: anzi, anche dopo due giorni, non solo ti fanno i complimenti, ma la gente comune si ferma a chiederti dettagli, a raccontarti quante emozioni hanno vissuto loro guardando la gara…. veramente incredibile!
– Un po’ alla volta il nostro gruppo si ritrova in appartamento a raccontarsi davanti a un thè caldo: per me 3h57’48”, Piera Bolzani 4h21’37”, Livio Dalla Verde 4h34’28”, Marco Rodella 4h34’30”, Paola Preto Martini 4h46’06”
– Di belle maratone ce ne sono tante, ma di uniche poche. La prima è questa!

corsa all'alba in Central Park

corsa all’alba in Central Park

– Dopo due giorni adrenalina ancora a mille!

ore 5.30… già da un po’ non riesco più a dormire, tergiverso ancora nel letto… il programma dell’ultima mezza giornata turistica inizierebbe alle 7.30… che fare?
un’idea improvvisa: in 2 secondi mi cambio e via di corsa! Passo davanti al grattacielo di Arnold e Mr. Drummond in Park Avenue, poi Central Park, 45′ tirati… vedo l’alba, “volo” sotto i 4’/km attorno al lago Jackie Onassis (1,58 mi = 2,543 km in poco più di 10’), concludendo con un po’ di fartlek su una scalinata e fuori dai path. Fatto.
– Ora può iniziare la giornata.

Security

Mi sto accorgendo a distanza di giorni che non ne ho mai parlato… ci pensavo proprio: “perché?”… direi di proposito, cioè in effetti non lo trovo/trovavo degno di nota.

Sì, c’erano “security check” ovunque, il controllo d’ingresso USA l’hanno addirittura spostato a Dublino, per chi transitava dall’Irlanda. Per la statua della Libertà doppio controllo, prima dell’imbarco e prima dell’ingresso al monumento.
E’ vero, siamo stati accolti dai cani al Whitehall Terminal per salire sul South Ferry che ci avrebbe portato verso Saten Island e il ponte di Verrazzano, ma la cosa era inserita nel contesto, un gran bel fiume di gente comunque allegra, col pensiero (positivo) tutto rivolto all’evento. I cani erano belli e sempre piacevoli da vedere al lavoro. Si passava comunque rapidamente senza attese, si chiacchierava, qualcuno faceva già (o ancora) stretching mentre arrivavano folate odorose di burro d’arachidi.
Magari più impressione potevano farla i gommoni con mitra puntati, lungo le coste di Staten Island, ma i più nemmeno li hanno notati.
Scesi dai pullman in zona partenza, passaggio al metal detector… ma, non so… a me e ai miei compagni non ha dato alcuna sensazione negativa, perché il controllo legato ad ansie e dubbi, veniva subito sostituito dall’accoglienza e dall’accompagnamento affabile dei volontari lungo le strisce colorate di wave e corral.

Controlli… pochi o tanti? Troppi? Sufficienti? Inutili? Difficile dirlo, forse impossibile… posso dire personalmente che si notavano, ma non li ho trovati invasivi, né condizionanti.

Una maratona lunga 1 anno (di Marco Rodella)

Roda e Siro: semplici amici (ben prima che allenatore/atleta)

Roda e Siro: semplici amici
(ben prima che atleta/allenatore)

FINE SETTEMBRE 2012: sono oramai mesi che ti stai allenando e, per quelli che sono i tuoi limiti, stai andando molto bene. Le gambe assecondano i tuoi desideri, le tabelle preparate dall’amico Siro vengono ampiamente rispettate ed anzi, a volte, devi mordere il freno. Stavolta, l’obiettivo che ti sei imposto, finire una maratona entro le 4 ore, sembra ampiamente alla portata, ed i “sacrifici” sopportati sembrano avere un senso: le levatacce mattutine d’estate, quando il caldo insopportabile ti impediva di correre la sera, qualche bicchiere di vino o birra in meno, le porzioni di pasta meno abbondanti trovano finalmente un riscontro. Ma, nello sport come nella vita, a volte gli imprevisti sono dove meno te lo aspetti: un allenamento banale, un ritmo che potresti tenere per ore, una strada dietro casa che conosci a menadito; nulla che possa far pensare ad un agguato della sorte. Eppure, eccola lì, quella maledetta fitta che hai imparato a conoscere negli anni, quel coltello che ti entra nella coscia, e ti dice parole di cui già conosci il significato: riposo, fisioterapista, laser, tecar, ultrasuoni. Significa, soprattutto, cambiare tutti i tuoi obiettivi: non più le 4 ore, ma solo arrivare, sempre che si possa partire. Fosse un’altra gara, staresti già pensando di rinunciarvi; ma a “quella” gara, no, non si può: ci sono già gli aerei e la casa prenotata, persone che viaggeranno con te, soldi spesi e, soprattutto, la volontà di farla, a tutti i costi. “Topo (eh si, Elisa mi chiama così), non puoi cambiare sport?”. “Roda, ma chi te lo fa fare?” mi ripetono spesso gli amici. Già, chi?

PRIMI DI NOVEMBRE 2012: hai completato il tuo percorso, la lesione non era così grave e, in qualche maniera, ti hanno rimesso in piedi. Le scarpe da running hanno viaggiato molto poco negli ultimi 40 giorni, ma per fare una maratona come si deve servirebbe ben altro. Siete partiti tu, Siro, Livio e Piera, con i vostri accompagnatori ed ognuno con i suoi obiettivi da raggiungere. Però nei vostri occhi non c’è la gioia, l’eccitazione, la tensione propria di ogni pregara; la vigilia di questa gara è diversa perché, nel frattempo, è arrivato qualcuno che non era stato invitato, qualcosa che non doveva arrivare: è arrivato “Sandy“.

coda ai distributori per i generatori dopo il passaggio dell'uragano

coda al rifornimento per i generatori di elettricità
dopo il passaggio dell’uragano

Appena scesi dall’ aereo, ti rendi conto che correre in quelle condizioni sarebbe una pazzia, costituirebbe un’offesa verso i morti, i feriti, gli sfollati, la città devastata. Infatti, in ritardo, vi avvisano che non si correrà. E’ una decisione logica, seppur tardiva, eppure qualcuno sembra essere più preoccupato di non ricevere l’agognata medaglia che non portare il minimo rispetto verso le vittime della tragedia. Accogli la decisione con favore e, egoisticamente, pensi anche che l’anno prossimo avrai la possibilità di correre al meglio delle tue possibilità. Si, perché decidi immediatamente che ci riproverai nel 2013.

APRILE 2013: i coltelli hanno continuato a farsi sentire, ma gli esami hanno detto che i muscoli delle tue gambe sono a posto. Hai tentato di allenarti al meglio e, nelle distanze medio/brevi, sei anche riuscito ad ottenere dei buoni risultati. Ora, vuoi provare ad allungare i chilometraggi e torni fiducioso sul Lago d’Iseo. La gara sta andando magnificamente, hai trovato un ottimo traino e mantieni senza difficoltà ritmi che fino a qualche mese prima ti sarebbero parsi insostenibili. O, forse, sono insostenibili: infatti, poco dopo la metà gara i coltelli ti fanno capire che, così, non puoi andare avanti. Ti trascini all’ arrivo; Elisa incrocia il tuo sguardo, e capisce. “Topo, perché non cambi sport ?” . Gli amici, con affetto, ti chiedono “Roda, ma chi te lo fa fare ?”. Già, chi ? Nessuno, in effetti. Il tuo corpo ti sta dicendo che non può (o non vuole) più correre, perlomeno non così spesso. Decidi di assecondare le sue richieste, e ti imponi di passare tutta l’estate senza indossare le scarpe da running.

SETTEMBRE 2013: è passato un anno, ma sembra ieri, in tutti i sensi. Hai provato ad assecondare le richieste del tuo corpo, hai giusto fatto un paio di sgambate montane con l’amico Livio, ma non cambia nulla, se non in peggio. I coltelli ora si divertono a tormentare anche glutei e schiena; radiografie, risonanze magnetiche ed ecografie dicono tutte la stessa cosa: “Lei è a posto“. Sarai forse un malato immaginario ? “Topo, cambia sport”. “Roda, ma chi te lo fa fare ?”. Persino il medico ti dice: “Marco, non vorrei sembrarle scortese, ma deve cominciare a pensare che ha una certa età, il suo fisico non ha più 20 anni”. Hanno ragione, tutti, ma vuoi fare questa corsa, a tutti i costi. Decidi di centellinare gli allenamenti, le tabelle di Siro servono solo a farti capire la distanza che c’è tra dove sei e dove dovresti essere.

OTTOBRE 2013: manca un mese, e i tuoi allenamenti si sono ridotti alla marcia FIASP della domenica mattina. I coltelli sono sempre lì, e non li senti solo correndo: provi dolore anche quando cammini, quando stai seduto, o sdraiato. A volte, per alzarti dal letto, devi rotolare su te stesso. Livio, Siro, Piera e Paola ti dicono che anche loro sono messi male: ma chi l’ha detto che lo sport fa bene alla salute ? Alle marce, incontri gente con cui correvi senza problemi. Ora, arrivano, ti salutano, ti sorpassano. Stringi un patto con te stesso: l’unico obiettivo sarà quello di arrivare, a qualsiasi costo, con qualsiasi tempo, e dovrai essere soddisfatto di questo.

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“I primi chilometri li corri sopra una nuvola, poi scendi dal ponte…”

NOVEMBRE 2013: ci sei, è “IL” giorno. Sei riuscito a combinarne una delle tue anche oggi: troppo difficile regolare la sveglia con fuso orario ed ora legale, e rischi di rimanere appiedato dai tuoi ritardi. Ma, finalmente, si parte: le tue gambe si mettono in moto, e, con loro, i coltelli: devi tenerli a bada per 4 o 5 ore, poi sarà tutto finito. I primi chilometri li corri sopra una nuvola, poi scendi dal ponte ed entri in un’altra dimensione: centinaia, migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia di persone che battono le mani, incitano, innalzano cartelli, urlano il tuo nome impresso sulla canotta. Ti guardi attorno, inebetito, estasiato: quelle persone sono lì per te, è del tutto evidente. Qualcuno ha detto loro dei sacrifici che hai fatto per essere lì, e loro ti vogliono ringraziare. Il fatto che Siro, Livio, Paola, Piera ed altri 50.000 runner pensino la stessa cosa per loro, non cambia nulla: in quel momento, quelle persone sono lì per te, e tu non puoi deluderle. I loro incitamenti sono mani che strappano i coltelli dalle gambe, dalla schiena; sono sempre di più, e non smettono mai di urlare, di applaudire. Vorresti ringraziarli uno ad uno, ma ti accontenti di stringere qualche mano, di dare qualche “high five”, di strizzare l’occhio a qualche bimbo. I chilometri scorrono inesorabili, sei quasi dispiaciuto di non andar più piano per poterti maggiormente godere quello spettacolo. Attorno al 35 km. i coltelli stanno perdendo forza, troppe le mani che li tolgono. Queste, però, non possono far nulla contro i crampi, che sono lì a dirti: “Non azzardarti ad accelerare, ci siamo anche noi”. Li ascolti.

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Marco e Livio: il piacere di correre assieme

Tu e Livio decidete che va bene così: forse poteva andare più forte lui, forse potevi farlo tu, ma avete deciso che questo spettacolo va vissuto assieme, e così sarà. Entrate al Parco, e siete quasi respinti dal boato che vi investe. Vi guardate attorno come dei bimbi al luna park, sfiniti e felici. Vorreste ringraziare tutti, ed invece sono loro che ringraziano voi.

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Marco & Elisa

Cerchi con gli occhi una persona in mezzo a quella folla, la vedi, ti avvicini, un bacio: “Bravo Topo, ce l’hai fatta”; “bravo zio”, ti dice la piccola Lucrezia.

Sono le mani che tolgono gli ultimi 2 coltelli, ora sai che nulla ti potrà più fermare. A 50 metri dalla fine, la tua mano sinistra stringe la destra di Livio: 4 braccia si levano al cielo e tagliano il traguardo, poi si abbassano sulle ginocchia, si rialzano e si stringono in un abbraccio. Uno sguardo, una parola: “Grazie”. Non serve altro. Non guardi il tempo, non conta, non oggi.

“Roda, ma chi te lo fa fare ?”. Oggi ho la risposta: un giorno, una città, una corsa: 3 novembre 2013, New York, New York City Marathon.

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3 risposte a Amici a New York

  1. Fabio Vomiero scrive:

    Grande Siro. Bellissimo racconto che traspira emozioni uniche. Mi sorge però un dubbio tecnico riguardo la sgambata all’alba al Central Park. Ma in questo o in un caso simile, si corre con o senza colazione? Ciao e a presto.

    • Siro scrive:

      Beh, non ci sono regole ferree o divieti per la corsa all’alba: dipende da qual è lo scopo (se c’è).
      Se l’intento è quello di fare un vero allenamento con una seduta abbastanza intensa, sicuramente si deve fare una colazione adeguata (sia per contenuti sia per tempi di digestione/assimilazione). Si arriva infatti dalle lunghe ore di digiuno notturno.
      Se invece l’intento è quello di correre abbastanza a lungo e magari bruciare un po’ di grassi, allora è consigliabile il digiuno per favorire l’utilizzo di tali carburanti da parte dell’organismo. Semmai si può prendere un caffè (amaro, altrimenti lo zucchero diventerebbe subito carburante privilegiato pronto all’uso). Il caffè, infatti, favorisce la mobilitazione degli acidi grassi.

      Per finire, se non abbiamo scopi particolari possiamo andare a gusto, piacere, estro… esattamente quel che ho fatto io quel giorno: l’idea fu talmente improvvisa che non mi venne nemmeno in mente la colazione.

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